LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 29

 

15 maggio 2016 – Pentecoste

Ciclo liturgico: anno C

 

Vieni, Santo Spirito,

riempi i cuori dei tuoi fedeli,

e accendi in essi il fuoco del tuo amore.

 

Giovanni 14,15-16.23-26      (At 2,1-11 - Salmo: 103 - Rm 8,8-17)

 

 

O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo.

 

 

 

 

15  In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti;

16  e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.

 

23  Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.

24  Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 

25  Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi.

26  Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». 

 

 Spunti per la riflessione

 

Insegnante di sostegno

         Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Ci sta, a un mese dalla fine delle scuole. Grazie Signore risorto! Siamo proprio degli zucconi, dei topoloni! Tardi e duri di cuore nel credere alle promesse.

Incapaci, anche se abbiamo assistito nel cuore alla tua resurrezione, come i discepoli, anche se sappiamo che sei e che sei presente e vivente nelle nostre vite, nella nostra storia.

Ci sentiamo le gambe tremare, ora che ci hai chiesto di restare in città, di diventare tuoi testimoni, ora che, ottimista che sei!, hai affidato a questa tua sgangherata comunità i misteri del Regno in attesa della tua venuta definitiva.

No, non dobbiamo diventare dei supereroi, degli improbabili santi da nicchia, non dobbiamo illuderci che l’uomo vecchio che è in noi parta definitivamente in vacanza.

Dobbiamo solo lasciarci amare osservando la tua Parola. E accoglierti. Diventare tua casa, tua dimora, tuo nascondiglio. Tu sei nostro rifugio. Chiedi a noi di diventare il tuo, di rifugio.

Follia pura, Signore.

Shevuot

Shevuot, la festa della mietitura, Pentecoste per i fedeli greci che ricordano la sua celebrazione cinquanta giorni dopo Pesah, era una festa agricola che, col passare dei secoli, era stata arricchita da un’altra interpretazione: in quel giorno si ricordava il dono della Torah (la Legge) sul monte Sinai.

Israele era molto fiero della Legge che Dio gli aveva consegnato; pur essendo il più piccolo fra i popoli, era stato scelto per testimoniare al mondo il vero volto del misericordioso.

Proprio il quel giorno, e non casualmente, Luca situa la discesa dello Spirito Santo. Spirito che era già stato donato, dalla croce e il giorno di Pasqua. Perché ripetere questa effusione? Perché quel giorno?

Forse Luca vuole dire ai discepoli che la nuova Legge è un movimento dello Spirito, una luce interiore che illumina il nostro volto e quello di Dio! Gesù non aggiunge precetti ai tanti (troppi!) presenti nella Legge orale, ma li semplifica, li riduce, li porta all’essenziale.

Un solo precetto, quello dell’amore, è richiesto ai discepoli. Fantastico, grazie Gesù!

Ma cosa significa amare nelle situazioni concrete?

Ecco che lo Spirito ci viene in soccorso. Gesù non dona delle nuove tavole, cambia il modo di vederle, ci cambia il cuore, radicalmente.

Oggi festeggiamo la Legge che lo Spirito ci aiuta a riconoscere.

Tuoni, nubi, fuoco, vento.

Luca descrive l’evento rimandando esplicitamente alla teofania di Dio sul monte Sinai: i tuoni, le nubi, il fuoco, il vento sono elementi che descrivono la solennità dell’evento e la presenza di Dio ma che possono anche essere riletti in una chiave spirituale.

Lo Spirito è tuono e terremoto: ci scuote nel profondo, scardina le nostre presunte certezze, ci obbliga a superare i luoghi comuni sulla fede (e sul cristianesimo!).

Lo Spirito è nube: la nebbia ci costringe a fidarci di qualcuno che ci conduce per non perdere la strada della verità.

Lo Spirito è fuoco che riscalda i nostri cuori e illumina i nostri passi.

Lo Spirito è vento: siamo noi a dover orientare le vele per raccogliere la sua spinta e attraversare il mare della vita!

Lo Spirito diventa l’anti-babele: se l’arroganza degli uomini ha portato alla confusione delle lingue, a non capirsi più, la presenza dello Spirito ci fa udire un solo linguaggio, una sola voce. Invochiamo lo Spirito quando non ci capiamo in famiglia, in parrocchia, sul lavoro. Invochiamolo quando non riusciamo a spiegarci.

Lo Spirito fa diventare i pavidi apostoli dei formidabili evangelizzatori: ora non hanno più paura e osano, vanno oltre, dicono senza timore la loro fede e la loro speranza.

È la Pentecoste: la Chiesa si inebria e diventa missionaria.

Lo Spirito

Lo Spirito è presenza d’amore della Trinità, ultimo dono di Gesù agli apostoli, invocato da Gesù come vivificatore, consolatore, ricordatore, avvocato difensore, invocato con tenerezza e forza dai nostri fratelli cristiani d’oriente.  Senza lo Spirito saremmo morti, esanimi, spenti, non credenti, tristi.

Lo Spirito, discreto, impalpabile, indescrivibile, è la chiave di volta della nostra fede, ciò che unisce tutto. Lo Spirito, già ricevuto da ciascuno nel Battesimo, è colui che ci rende presente qui e ora il Signore Gesù. Colui che ci permette di accorgerci della sua presenza, che orienta i nostri passo a incrociare i suoi.

Siete soli? Avete l’impressione che la vostra vita sia una barca che fa acqua da tutte le parti?

Vi sentite incompresi o feriti?

Invocate lo Spirito che è Consolatore che con-sola, fa compagnia a chi è solo.

Ascoltate la Parola e faticate a credere, a fare il salto definitivo?

Invocate lo Spirito che è Vivificatore, rende la vostra fede schietta e vivace come quella dei grandi santi.

Fate fatica a iniettare Gesù nelle vene della vostra quotidianità, preferendo tenerlo in uno scaffale bello stirato da tirare fuori di domenica?

Invocate lo Spirito che ci ricorda ciò che Gesù ha fatto per noi.

Siete rosi dai sensi di colpa, la vita vi ha chiesto un prezzo alto da pagare? La parte oscura della vostra vita vi ossessiona?

Invocate l’avvocato difensore, il Paraclito, che si mette alla nostra destra e sostiene le nostre ragioni di fronte ad ogni accusa.

Così gli apostoli hanno dovuto essere abitati dallo Spirito, che li ha rivoltati come un calzino, per essere finalmente, definitivamente, annunciatori e, allora, solo allora, hanno iniziato a capire, a ricordare col cuore.

Se avete sentito il cuore scoppiare, ascoltando la Parola, state tranquilli: c’era lo Spirito che, finalmente, era riuscito a forzare la serratura del vostro cuore e della vostra incredulità!

Fra poco finisce la scuola.

Ma colui che insegna rimane.

 

___________________________________

L’Autore

 

Paolo Curtaz

Ultimogenito di tre fratelli, figlio di un imprenditore edile e di una casalinga, ha terminato gli studi di scuola superiore presso l’istituto tecnico per geometri di Aosta nel 1984, per poi entrare nel seminario vescovile di Aosta; ha approfondito i suoi studi in pastorale giovanile e catechistica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma (1989/1990).

Ordinato sacerdote il 7 settembre 1990 da Ovidio Lari è stato nominato viceparroco di Courmayeur (1990/1993), di Saint Martin de Corlèans ad Aosta (1993/1997) e parroco di Valsavaranche, Rhêmes-Notre-Dame, Rhêmes-Saint-Georges e Introd (1997/2007).

Nel 1995 è stato nominato direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, in seguito ha curato il coordinamento della pastorale giovanile cittadina. Dal 1999 al 2007 è stato responsabile dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici della diocesi di Aosta. Nel 2004, grazie ad un gruppo di amici di Torino, fonda il sito tiraccontolaparola.it che pubblica il commento al vangelo domenicale e le sue conferenze audio. Negli stessi anni conduce la trasmissione radiofonica quotidiana Prima di tutto per il circuito nazionale Inblu della CEI e collabora alla rivista mensile Parola e preghiera Edizioni Paoline, che propone un cammino quotidiano di preghiera per l’uomo contemporaneo.

Dopo un periodo di discernimento, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale per dedicarsi in altro modo all’evangelizzazione. Oggi è sposato con Luisella e ha un figlio di nome Jakob.

Nel 2009 consegue il baccellierato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano con la tesi La figura del sacerdozio nell’epistolario di don Lorenzo Milani e nel 2011 la licenza in teologia pastorale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, sezione di Torino, con la tesi Internet e il servizio della Parola di Dio. Analisi critica di alcune omelie presenti nei maggiori siti web cattolici italiani.

Insieme ad alcuni amici, fonda l’associazione culturale Zaccheo (2004) con cui organizza conferenze di esegesi spirituale e viaggi culturali in Terra Santa e in Europa.

Come giornalista pubblicista ha collaborato con alcune riviste cristiane (Il Nostro Tempo, Famiglia Cristiana, L’Eco di Terrasanta) e con siti di pastorale cattolica.

Nel 1999 è stato uno dei protagonisti della campagna pubblicitaria della CEI per l’8x1000 alla Chiesa cattolica. Come parroco di Introd ha accolto per diverse volte papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI nelle loro vacanze estive a Les Combes, villaggio di Introd.

 

Esegesi biblica

 

Questo testo è lo stesso della 6ª domenica di Pasqua (1° maggio) perché il Vangelo che ascoltiamo il giorno di Pentecoste è in parte lo stesso di quella domenica.

 

Gesù “Via Verità e Vita” (14, 1-31)

Continua in questo capitolo il primo discorso di Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,36-14,31). Questo discorso al pari del successivo (cc. 15-16), non si muove secondo un rigoroso senso filologico, ma presenta una costante atmosfera di commiato da parte di Gesù riguardo agli apostoli, e forti esortazioni alla fede e all’amore.

- Gli apostoli sono in uno stato di profondo turbamento (14,1-14) per le tre predizioni che Gesù ha fatto poco prima relativamente al tradimento di Giuda (13,21), alla sua dipartita da questo mondo (13,33) e al rinnegamento di Pietro (13,38).

Gesù li esorta a superare tale momento difficile invitandoli a credere in lui in modo rinnovato e più profondo: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (versetto 1). In questa esortazione a continuare a credere (il verbo “credere” è al tempo presente!), è notevole il fatto che la fede in Gesù (”in me”) venga messa sullo stesso piano della fede “in Dio”; questo parallelismo si ripresenta poco dopo con il verbo “conoscere” (”Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” (v. 7) e con il verbo “vedere” (”Chi ha visto me ha visto il Padre” (v. 9). Si tratta quindi di un’unica fede, che ha per oggetto sia il Padre che il Figlio: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato” (12,42; cfr. 1 Gv 2,23). La ragione profonda di questo sta nel fatto che il Figlio possiede la stessa natura divina del Padre, come viene detto più avanti (vv. 9-11: “…Io sono nel Padre e il Padre è in me…). Per questo motivo anche la preghiera viene rivolta sia al Padre (cc. 15-16) che al Figlio (14,14).

Gli apostoli, mediante l’esercizio della fede, devono affidare la loro esistenza concreta, specialmente il turbamento di quel momento, al Padre e al Figlio; questo affidamento donerà loro una nuova luce, che li aiuterà a comprendere come la dipartita del Maestro sarà seguita da una sua presenza ancor più vitale.

 

- L’amore di Gesù e i suoi effetti (Gv. 14,15-31)

Ora il discorso si sposta sul dono dello Spirito Santo. Per consolare i discepoli, rattristati per la sua dipartita ormai imminente, Gesù fa queste promesse che realizzerà con la sua morte e risurrezione: lo Spirito Santo verrà ad abitare per sempre nei discepoli (vv. 15-17), lui stesso ritornerà da loro (vv. 19-21). E ancora lui e il Padre verranno in chi ama Gesù e prenderanno dimora presso di lui (v. 23). Il brano è dunque impostato in forma trinitaria, in modo tale da non separare le tre persone divine, per cui lo Spirito Santo è dato dal Padre su richiesta del Figlio, e, al pari dello Spirito Santo (v. 17), anche il Padre e il Figlio verranno ad abitare nel credente (vv. 21.23).

 

- “Il Paraclito sarà in voi”

Il brano inizia precisando in che cosa consista il vero amore dei discepoli nei riguardi di Gesù: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (v. 15). Il comando dell’amore si unisce armoniosamente anche alle altre due promesse: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama” (v. 21), e Gesù si manifesterà a lui: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (v. 23), il Padre e il Figlio prenderanno dimora presso di lui”. Infine, il v. 24 ripete in forma negativa i concetti precedenti: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”.

Sono doverosi alcuni rilievi. Si tratta innanzitutto di un amore di risposta a quello di Gesù stesso, che da sempre ha amato i discepoli di amore infinito: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Va anche ricordato che Dio è amore e sorgente dell’amore: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi” (1 Gv 4,10; cfr. 4,8.16).

Ne segue che l’amore dei discepoli verso Gesù è solo amore di risposta. Inoltre, si tratta di un amore non sentimentale, ma concreto, fondato sull’accoglienza della parola di Gesù e sulla pratica della sua volontà. La pratica dell’amore fraterno – richiamata vigorosamente nei discorsi dell’ultima cena (13,34-35; 15,12-14) -  è il segno manifesto che il credente ama davvero il Figlio e il Padre: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (15,12), e “chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 4,21). Infine, è proprio questo amore concreto e operoso per Cristo che apre all’uomo la vita della comunione trinitaria.

Affermato il precetto dell’amore, Gesù promette: “Il Padre vi darà un altro Paraclito” (v. 16). Solo Giovanni usa questo termine forense “difensore” per indicare sia lo Spirito Santo (14,16.26; 15,26; 16,7) sia Gesù stesso (”Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto” 1 Gv 2,1). Quindi, il Paràclito è, al pari di Gesù (”un altro Consolatore”) persona divina.

Viene chiamato anche “lo Spirito di verità (v. 17; 15,26; 16,13) e “Spirito Santo” (15,26).

L’opera del Paraclito, secondo i discorsi dell’ultima cena, è molteplice.

- Nei riguardi di Gesù: gli rende testimonianza dinanzi ai discepoli (15, 26-27) e lo glorifica (16,14).

- Nei riguardi dei discepoli: rimane in loro (v. 17), è loro maestro (14,26) e guida (16,13), in quanto li introduce alla piena comprensione dell’insegnamento di Cristo e li rende testimoni (15,27).

- Nei riguardi del “mondo”, considerato qui come ostile alla verità e all’amore è critico: un mondo del genere non può conoscere lo Spirito di verità (v. 17), lo Spirito denuncerà le colpe del mondo (16, 8-11).

Ci sono inoltre affermazioni fondamentali riguardanti l’ “inabitazione” dello Spirito. Il Padre darà ai discepoli il Paraclito “perché rimanga con voi sempre” (v. 16), e Gesù dice che lo Spirito di verità “dimora presso di voi e sarà in voi” (v. 17). Se si bada attentamente a queste affermazioni si possono individuare due fasi della presenza dello Spirito sui discepoli.

- La prima riguarda il periodo della vita terrena di Gesù: per il fatto che lo Spirito “scese e rimase” (1,34) su di lui, ne consegue che grazie alla presenza di Cristo in mezzo agli apostoli, anche lo Spirito “dimora presso di voi”.

  1. A questa fase ne succede un’altra che incomincia con la risurrezione, quando lo Spirito sarà “in voi” e “per sempre”. Quindi alla fase della “vicinanza” succede quella dell’ “inabitazione”, che prosegue per tutto il tempo della Chiesa (”per sempre”): questa fase è anche la nostra.

 

- “Ritornerò da voi”

Accenniamo alle altre due “immanenze” – quella del Figlio e quella del Padre – nei credenti.

La glorificazione di Gesù non solo comporterà il dono dello Spirito (7,39), ma anche la presenza del Risorto nell’intimo dei discepoli: “In quel giorno – nel periodo escatologico che inizia con la Risurrezione di Gesù e termina con la sua parusìa – voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (v. 20). Si tratta non soltanto delle apparizioni pasquali (”voi mi vedrete” v. 19), ma anche della luce della fede che fa conoscere le relazioni che intercorrono tra il Maestro e i discepoli (”voi in me e io in voi”), relazioni analoghe a quelle che esistono tra Figlio e Padre (”io sono nel Padre”). Gesù non ci lascia orfani perché dimora in noi.

 

- “Prenderemo dimora presso di lui”

Gesù afferma: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (v. 23).

Si conclude così la serie: lo Spirito Santo, il Figlio e il Padre vengono ad abitare negli apostoli e nei cristiani di ogni tempo, e questi possiedono già ora un anticipo della presenza beatificante del cielo.

Ci chiediamo: una dottrina così sublime, quale è quella dell’inabitazione della Trinità nel credente, come può essere accolta dall’uomo d’oggi, tanto preso dalle cose materiali e immediate?

È questo uno dei casi nel quale dobbiamo fare affidamento sull’efficacia della parola di Dio e sull’aiuto della grazia.

L’evangelista Giovanni e l’apostolo Paolo hanno proposto una dottrina del genere non solo ai giudei, ma anche ai pagani, che l’hanno accolta.

Suor Elisabetta della Trinità (1880-1906) ha fatto di questa dottrina il fulcro della sua santità: “Ho trovato il cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nella mia anima… i tre che abitano in me… mio Dio Trinità che adoro”.

Forse l’uomo moderno aspetta, più che mai, che gli venga indicata questa sorgente purissima della rivelazione del Nuovo Testamento.